In questo appuntamento con le interviste impossibili abbiamo con noi un nuovo, particolare protagonista. Credo che ognuno di noi lo conosca molto bene…

di Riccardo Coppola

 

Dopo un’estenuante attesa e un’insistenza dettata dal bisogno di confronto, riesco finalmente ad organizzare l’agognato vis-à-vis con la Patria. Traboccando d’orgoglio e con composta lietezza, mi raggiunge con un notevole ritardo un’Italia provata, un po’ curva per il peso degli anni. Il volto rinsecchito, la postura precariamente ritta, ella si perde tuttavia in un’inconsapevolezza del suo avvilito aspetto che la rende insieme frivola e accogliente: l’animo nobile, forse un po’ corroso dalla storia (tracollo probabilmente somatizzato fisicamente), è così gagliardamente preservato che ella si impone come personaggio positivo e di spessore. Piacevolissima conversatrice, Donna sapiente e dai mille trascorsi, non nasconde la malinconia che l’avvolge, ma risulta allo stesso tempo abile nel mettere gli altri a proprio agio e dibatte con me con la stessa benevolenza di un’amabile nonna col nipotino. La location? Una panchina d’oro, immersa nel verde dei suoi boschi centrali, luogo “di riflessione estraniata” sul quale la buon’Italia ama cullarsi in chissà quali ricordi o riflessioni…

Signora Madrepatria, buongiorno. Volevo innanzitutto ringraziarla per…

Perdona l’interruzione precipitosa, caro Cittadino, ma esigo che mi dia del tu. In fin dei conti, sei pur sempre uno dei miei figli…

Hai ragione. Volevo iniziare con un dovuto ringraziamento per la possibilità che mi stai offrendo in questo momento: sai, discutere a quattr’occhi con la propria nazione non è proprio cosa di tutti i giorni…

Immagino l’eccezionalità dell’evento per te, anche se il confronto tra me e il cittadino dovrebbe essere una costante, piuttosto che una rarità. Sotto questo punto di vista, lo stato d’isolamento che vivo e che mi riservano i miei abitanti è un assurdo atto d’egoismo.

Avverto un presagio di rimostranza. Puoi definire questo “isolamento”?

Intendevo solo ribadire la dovuta e necessaria vicinanza tra me ed i cittadini, come te. Ognuno di voi dovrebbe coinvolgermi ripetutamente nella propria dimensione di pensiero e comportamento, dal momento che l’individuo attua in una comunità. Dalla sfera politica all’etica più personale, sono fin troppo esclusa da coloro che mi popolano e, in sostanza, compongono la mia parte attiva. Ad esempio, perché mi hai dato istintivamente del lei? Tutto ciò implica una certa distanza e, come puoi immaginare, con questa distanza tra cittadino e nazione, se il primo non considera nelle sue azioni la seconda,  si costituisce inevitabilmente la base dell’inciviltà. E’ in questi termini che definirei la mia solitudine.

In sole due risposte hai delineato un primo quadro generale su cosa sono gli italiani. Al di là dei fattori d’egoismo e d’inciviltà citati, quali termini utilizzerebbe per descrivere la nostra mentalità?

Attenzione però, ridurre gli italiani al ruolo dei “brutti e cattivi”, egoisti ed incivili, sarebbe pura ignoranza. Premettendo che trarre caratteristiche comuni di un popolo intero è un processo pressoché approssimativo, sono convinto che uno dei principali problemi si trovi proprio qui, a livello concettuale. Spesso sento bollare i miei mali come ‘frutto di una  sbagliata mentalità’. In effetti, potrei parlare di utilitarismo, di conflittualità nei rapporti interpersonali ed ostinato individualismo, persino di chiusura mentale, ma in tutto questo minestrone di atteggiamenti culturali marci non vedo nulla che possa racchiudersi in un’ideale di “mentalità”. A quanto pare, gli italiani vivono una condizione unica di “non-mentalità”, sembrano soffrire cronicamente di mancanza di valori. Ovviamente, parlo a carattere generale, riportando la sostanza della realtà che emerge. E’ importante piuttosto tener presente e valorizzare i modelli, anche a me interni, da imitare.

Credi, dunque, all’evoluzione di questa “non mentalità”, o si tratta a tuo parere di un impianto culturale eccessivamente radicato da poter estirpare? Sono i sopraccitati modelli da imitare i punti di partenza dell’ipotetica ripresa culturale?

E’ una domanda a cui è impossibile rispondere con certezza, in quanto si andrebbe incontro all’ignoto. Allo stesso tempo, è ovvio che per il mio bene sono costretta a sperare in un’inversione di tendenza. Se però fossi una di voi, e non il teatro di tutto un percorso che ha palesi retaggi storici, mi imporrei un cieco ottimismo e fiducia, altrimenti instaureremmo davvero un sistema chiuso e condannato in partenza. Ma ciò che mi sorprende e mi strugge è che sia io ad elaborare questo pensiero e non voi cittadini, quando la situazione indurrebbe a pensare il contrario.

Te la sentiresti quindi di accodarti alla definizione di “generazione rassegnata”, in riferimento ai giovani d’oggi? Credi che sia un’espressione senza tempo?

I giovani, almeno quelli dotati di un’attiva coscienza su ciò che è la realtà italiana, avvertono sfiducia, e per loro, in generale, costituisco ormai una claustrofobica stanza più che una culla. Fa male dirlo, ma è innegabile, come dimostrato dal fenomeno della fuga dei cervelli, ad esempio. Vorrei però collegarmi alla precedente risposta e ribadire alla nuova generazione la loro importanza, il loro ruolo di punti di partenza nello slancio verso la cultura del corretto, componente che necessito più di ogni altra cosa, e a cui ho sempre aspirato (invano, ndr).  Se, come detto, sono detentori d’una coscienza attiva, possono essere loro stessi i primi a indirizzarsi verso la civiltà, a cominciare dal piccolo, dall’etica individuale, nel privato così come nel pubblico. Del resto, l’intelligenza è come il dondolo del parco giochi: hai la facoltà di scendere, comprendendo nel profondo e sulla propria pelle la problematicità d’una vicenda o situazione, ma anche (e soprattutto) quella di salire, sapendo come mobilitarsi per trovare soluzioni. E in tutto questo gioco, il divertimento è rappresentato dalla consapevolezza della possibilità che quest’ambivalenza si può risolvere positivamente. Sarebbe più opportuno riferirsi a questa, come espressione senza tempo.

Ma in tutto questo, come sta, oggi, l’Italia?

Diciamo che ho passato dei periodi migliori. Francamente, sono stanca, frustrata e decisamente irrealizzata. Insomma, il corso della storia mi ha sempre caratterizzato come ritardataria cronica: ad oggi, l’aver condotto un’esistenza volta “all’inseguimento”, al dover recuperare il costante gap che mi separa dalle altre, mi fa sentire violentata psicologicamente. 

Però permettimi di dire che, nonostante tutto, mantieni un certo fascino. Sei stata e sei tutt’ora il sogno di tanti, da tutto il mondo.

Ed è effettivamente con questo che alludevo, prima, alla frustrazione: perché gli elementi che maggiormente mi onorano e mi rendono fiera di me stessa appartengono all’esterno, e non direttamente al mio popolo? Durante il mio percorso, ho incrociato i migliori artisti ed intellettuali, milioni di turisti o viandanti casuali: molti persero la testa per me, altri mi lusingarono con parole ed opere irripetibili, ma tutti loro erano tuttavia un qualcosa al di fuori della mia quotidianità e stabilità. Il mio stesso popolo, invece, non è mai paradossalmente riuscito ad amarmi nel profondo, come ho fatto io. Non parlo di un sentimento non ricambiato, per carità, forse è solo un’incompatibilità strutturale, avendo da parte mia disperso nel tempo così tanta Bellezza in un territorio limitato da aver sovraccaricato le responsabilità degli italiani. Anche se, ovviamente, questo non può costituire un alibi.

Troppa Bellezza in un’area così piccola, è un rimpianto?

Assolutamente no, è proprio questo invece uno degli elementi da valorizzare e tenere sempre ben presente, per ripartire. La Bellezza dell’Italia è Bellezza del Mondo, e la ricchezza smisurata che preservo nell’ ambito artistico-culturale e naturalistico mi permetterà sempre di essere viva agli occhi di tutti, universalmente ed in modo atemporale. Ed è per questo che si determina il calibro della conservazione del patrimonio, da cui nascono, al contrario,  frustrazione e insoddisfazione nel momento in cui noto superficialità e approssimazione nel settore. Non voglio però demonizzare i miei cittadini, che anzi stimolo e consiglio di attivarsi, al fine di comprendere fino in fondo la grandezza dei tesori che, almeno in determinati ambiti, ci fanno primeggiare nel mondo intero.

 Tornando alla tuo stato d’insoddisfazione esistenziale in relazione agli italiani, quante responsabilità attribuisci all’ influenza della Chiesa Cattolica nella mentalità conservatrice che tuttora caratterizza una parte sostanziale del Paese?

Non voglio portare nessuno alla gogna, ma è innegabile che nel tempo le istituzioni cattoliche, ben lontane dagli interessi religiosi-dottrinali, abbiano alimentato le istanze conservatrici alla base della non-mentalità di cui discutevamo in precedenza. O meglio ancora, possiamo parlare di incultura civile, da cui deriva la serie di deprivazioni di diritti e libertà (con conseguenti rivendicazioni, che trasciniamo ancora oggi). La Chiesa non è di certo il capro espiatorio a cui attribuire tutte le cause del mio ritardo strutturale socio-economico e culturale, la situazione è ben più complessa ed include processi storici e politici, ma di certo una bella responsabilità ce l’ha. Diciamo che è spesso stata un’istituzione fuorviante e volta a strumentalizzare i valori originari che deteneva, ecco.

Ti senti effettivamente un paese laico?

In cuor mio sì, ed è un punto in cui credo fermamente. Considero la laicità una microarea della libertà, valore su cui la mia nascita e la mia ossatura si fonda e si impegna a tutelare. Tuttavia, devo ammettere che si tratti ancora, ahimè, soltanto di un altro valore solo ‘sulla carta’, basti pensare all’offerta didattica delle scuole…

Nel corso dell’intervista hai utilizzato più volte, e in maniera convinta, il termine “popolo”, in riferimento ai tuoi cittadini, come me. Credi, per dirla alla d’Azeglio maniera, che ad oggi si siano fatti gli italiani?

Mi piace pensare incondizionatamente all’idea di unità di popolo, ad un’identità nazionale univoca e riconoscibile, l’ho fatto dalla mia nascita, la professo adesso e lo farò finché esisterò. Senza elementi di coesione interna, è impossibile pensare al progresso, in qualsiasi ambito. Sarebbe come presentarsi in guerra con modellini di carri armati e pistole giocattolo.

A proposito di guerra e periodi poco felici, qual è stato il momento che reputa il più basso della sua storia?

Potrei ricordare diverse tragedie, scandali e crisi, tutte fasi tristi di una vita mai completamente serena. Ma quando davanti a me ho episodi di crimini contro l’umanità, di disumanità in generale, non posso discutere su chi è peggio di cosa: il percorso di memoria è inevitabilmente sempre lo stesso.

E il più alto invece?

Deve essere il futuro, piantatevelo per bene in testa!

Battuta finale: ma quand’ è che insegnerai al resto del mondo a cucinare come si deve?

La cucina italiana è anch’essa un patrimonio che rende unici me e voi, perciò in questo caso, più che conservare e valorizzare, si tratta di custodire gelosamente le ricette!