Lo spreco alimentare sta diventando un fenomeno sempre più frequente ormai e noi,  senza accorgercene, favoriamo il suo progressivo aumento

di Ludovica Celletti, Catrinel Cudur, Camilla Gaeta, Gaia Pallotta

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Per renderci conto di quanto questo fenomeno sia dannoso basti pensare al fatto che la metà del cibo che viene prodotto nel mondo finisce nella spazzatura benché sia ancora commestibile, o peggio, senza neanche arrivare alla tavola oppure viene gettato in caso di eccessiva produzione (questo soprattutto negli alberghi e nei ristoranti).
È per questa ragione che purtroppo nelle strutture pubbliche italiane in occasione di banchetti o ricevimenti 6,6 milioni di tonnellate di cibo di ogni genere è destinato a finire nelle pattumiere.

Ogni anno una famiglia italiana butta in media 49 kg di cibo per distrazione e negligenza nella gestione delle spese. Infatti la maggior parte del cibo che viene comprato si deposita nel frigorifero o nella dispensa e certe volte ci si dimentica, di conseguenza questo scade e viene buttato.  Così finiscono in discarica 1,19 milioni di tonnellate di alimenti: uno spreco che ammonta a circa ben 7,65 miliardi di euro l’anno, quindi a 316 euro per ciascuna famiglia; questo è quanto emerge dal rapporto Wwf Quanta natura sprechiamo.

È possibile distinguere due tipologie di spreco di cibo: food losses ossia le perdite che si determinano principalmente in fase di semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione e prima trasformazione agricola e food waste ossia gli sprechi che avvengono durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale.

Lo spreco alimentare è inoltre un grande paradosso del nostro tempo: difatti se per il futuro si prevede la produzione di cibo aumentata del 60-70%  per nutrire una popolazione in continua crescita, viene completamente dimenticato l’enorme spreco di cibo nel mondo: oltre un terzo di quello prodotto, di cui l’80% ancora consumabile.

È un fenomeno che pone interrogativi sugli squilibri di consumo e sulla disparità sociale tra chi spreca e chi non ha da mangiare, basti pensare che se fosse possibile recuperare gli sprechi questi sfamerebbero 2 miliardi di persone al mondo, quando la denutrizione e l’impoverimento riguarda solo la metà di essi.

Nel nord del mondo si produce e si acquista troppo cibo, mentre nel sud il cibo si spreca per mancanza di infrastrutture adeguate, di strumenti per la conservazione e il trasporto in tempi utili.

Molte persone pensano che gli sprechi di cibo si presentino solo nelle case e nei ristoranti quando non si considera quasi per niente quelli che si verificano a livello di produzione e raccolto, durante la trasformazione dei prodotti che produce molti scarti alimentari e nella fase di distribuzione all’ingrosso, dove il cibo resta invenduto perché non corrisponde ai canoni estetici dei compratori.

Per arrivare sulle nostre tavole il cibo richiede molte risorse naturali e di conseguenza si hanno impatti importanti sull’ambiente; se questo viene sprecato anche il costo dell’ambiente viene sprecato e così l’ambiente viene sfruttato inutilmente.

Ma finalmente si inizia a fare qualcosa per evitare questo fenomeno senza senso.
Infatti grandi catene alimentari come Auchan e Simply Market hanno attuato una novità antispreco messe in campo dalle loro imprese. Dalla doggy bag nei ristoranti Ikea agli scarti di Autogrill che diventeranno concime per l’orto dell’Oasi Wwf di Vanzago, dall’incremento della vendita di prodotti sfusi alla donazione di prodotti prossimi alla scadenza a enti del volontariato sociale che hanno portato a offrire 900 mila pasti in un anno a famiglie bisognose.

Infine il 14 settembre 2016 è entrata in vigore una legge chiamata legge Gadda (dal nome della promotrice prima firmataria Maria Chiara Gadda)  n.166/16 per la limitazione degli sprechi alimentari , l’uso consapevole delle risorse e la sostenibilità ambientale.
I punti principali su cui si basa sono:
– La definizione di: ‘spreco alimentare’, ‘donazione’, ‘eccedenze alimentari’, ‘termine minimo di conservazione’, ‘data di scadenza’ ecc;
– Il recupero di eccedenze agricole (“residuo di campo”) da parte di associazioni di volontariato;
– Agevolazioni amministrative per i donatori e uno sconto sulla tassa dei rifiuti proporzionale alla quantità di cibi donato per le attività commerciali e produttive;
– La possibilità per le autorità di donare alimenti confiscati ad organizzazioni no profit;
– La programmazione di campagne di comunicazione sui canali RAI per sensibilizzare i consumatori sul tema dello spreco;
– La donazione del pane invenduto entro le 24 ore successive;
– Misure per promuovere l’uso dei contenitori nei ristoranti per portarsi a casa ciò che non si è consumato nel locale (family bag).

Oltre ad essere la prima legge che definisce lo spreco alimentare, sembra che la legge Gadda possa davvero portare ad un cambiamento e secondo Marco Lucchini, direttore della Fondazione del Banco Alimentare, qualcosa è già cambiato. Infatti prima le aziende potevano donare cibo in eccedenza liberamente fino a un valore di 5 mila euro e una volta superata la soglia era necessaria la comunicazione all’Agenzia delle Entrate, che scoraggiava molti soggetti. Adesso invece le catene di distribuzione donano molto di più in quanto la soglia è stata alzata a 15 mila euro.

Nella legge inoltre viene chiarito il termine minimo di conservazione, ovvero entro quando è preferibile che il prodotto sia consumato, data che non coincide con quella di scadenza. Infatti se il termine minimo di conservazione è stato superato da pochi giorni il prodotto è ancora consumabile, basta che si controlli che non sia andato a male e questo chiarimento ha reso possibile la riduzione del maggiore fattore di spreco nelle case degli italiani