Mezzo secolo di comics made in Italy nelle parole di chi quegli anni li ha vissuti davvero: Maurizio Malospiriti, che i ragazzi del Leonardo conoscono molto bene…

La redazione

Si è svolta di recente a Roma la mostra “50 anni di fumetto italiano”, che ha ripercorso l’epoca d’oro dei nostri comics, dal 1967 in poi

Un periodo che vogliamo rivivere insieme a Maurizio Malospiriti, che – oltre ad essere un valido insegnante di Storia dell’Arte del nostro istituto – ha un passato di “fumettaro doc”. Ecco qui l’intervista che abbiamo realizzato con lui

Cinquant’anni di comics made in Italy. Un’epopea straordinaria di cui, possiamo dire, anche tu hai fatto parte…

Sì, credo di averne fatto parte, anche se in modo marginale e quasi involontario, ho iniziato con bozzetti per biglietti d’auguri per raccogliere qualche spicciolo. Ho fatto parte di un periodo che definirei fantastico per gli artisti dei primi anni 50/60, con un nuovo modo di fare fumetti.

Il salto avvenne evidentissimo, sia nel disegno che nei testi, nel passaggio dal “Corriere dei Piccoli” (il mio primo fumetto con il sig. Bonaventura di Sergio Tofano), al più completo ed innovativo “Il Vittorioso”, con la nascita di uno dei più grandi autori (a mio parere): Benito Jacovitti.

Personalmente mi limitai ad inventare un mio personaggio (MaDa), un capellone contestatore dei miei anni ‘68.

Che cosa ha rappresentato il fumetto italiano per le generazioni del dopoguerra?

Credo che per quelli della mia generazione abbia contribuito a farci dimenticare gli stenti del dopoguerra, fantasticando. Non avevamo il computer, si giocava con una palla fatta da elastici e chi aveva la bicicletta era quasi ricco.

I giovani di oggi praticamente non leggono più fumetti, se si fa eccezione per i manga (che comunque sono un’altra cosa). Come mai? Perché il fumetto italiano ha perso la sua grande carica ludica e culturale?

Non mi piacciono i Manga. La domanda per me è difficilissima, la tecnologia penso che stia distruggendo la fantasia, spero di sbagliarmi. Scuole come la “scuola del libro” di Urbino, si stanno sempre più… adeguando, oggi il fumetto è disegnato al computer, le storie sono sempre più simili, ancora Topolino è sinonimo di fantasia.

Quali sono i fumetti cui ti senti più legato, quelli che hanno segnato il tuo immaginario giovanile?

Di Jacovitti ho già detto, è stato un grande. Per la sua comicità diversa, surreale, e i suoi innumerevoli personaggi: uno su tutti, Cocco Bill. Ma il mio preferito è stato Bonvi (Franco Bonvicini), con la sua parodia di una improbabile guerra di alcuni soldati tedeschi (Sturmtruppen).

Non ho mai gradito i supereroi, soltanto un ranger texano mi colpì moltissimo, per le ambientazioni americane con i pellerossa: ovviamente sto parlando di Tex. Gli autori Bonelli e Galleppini e tanti disegnatori che si sono succeduti negli anni ci fecero conoscere il continente americano. Personalmente ne ho una collezione di oltre 200 numeri

Pensi mai di rimetterti a disegnare fumetti? Cosa ti piacerebbe semmai realizzare oggi?

Sì, mi piacerebbe, forse aggiornerei il mio “MaDa”. Da settembre sarò un pensionato, spero di avere abbastanza tempo per dedicarmi ai miei tanti progetti