Le acque “povere” – di minerali, di sali, di sodio – sono davvero migliori e più salutari come dice la pubblicità? Vediamo di fare un po’ di chiarezza…

La redazione

Che cos’è il residuo fisso e quale è la sua importanza? Oggi se ne fa un gran parlare e spesso a sproposito. Le acque minerali in commercio ne hanno fatto uno specchietto per allodole per il consumatore, vantandosi di avere un residuo fisso via via sempre più basso e di essere quindi – a loro dire – più salubri. Ma in realtà è davvero così?

Chiariamo innanzi tutto di cosa si tratta. L’acqua minerale è così detta proprio per il suo contenuto di minerali disciolti (calcio, sodio, potassio, magnesio…), che rappresentano una parte essenziale del suo valore nutritivo.

L’acqua allo stato puro, in senso strettamente chimico, è quella che chiamiamo “acqua distillata”, il cui valore nutritivo sarebbe sicuramente molto inferiore a quella minerale.

L’apporto delle sostanze disciolte in H2O è pertanto fondamentale. Il residuo fisso è ciò che resta appunto della soluzione acquosa – tale infatti è ogni acqua potabile – dopo aver riscaldato l’acqua a 180 gradi e averne separato, per evaporazione, tutti i componenti minerali. Il residuo viene apprezzato in mg/litro e quindi rappresenta, in parole povere, il contenuto in minerali di una data soluzione acquosa.

E qui sta il bello. Le varie acque differiscono sensibilmente in base a questo dato e possono essere classificate come minimamente mineralizzate (con un residuo fino a 80 mg/l), oligominerali (povere di sali, fino a 200 mg/l), medio-minerali (fino a un grammo/litro) e via dicendo.

La pubblicità ha spinto il consumatore, in questi ultimi anni, a prediligere acque a residuo fisso molto basso, addirittura vantandosi della propria “povertà”: chi non ricorda gli spot di quella marca che si vanta a più non posso di essere “povera di sodio”?

La cosa è veramente sorprendente, se si pensa che in genere la pubblicità ha sempre cercato di porre in risalto la ricchezza di un prodotto e non la sua pochezza. Ma ancor più sorprendente è il chiedersi “perché?”. Ovvero, le acque minerali a basso residuo fisso sono davvero migliori delle altre? Al palato certamente no, dato che ciò che dà gusto all’acqua – che di suo è proprio “insapore, incolore e inodore”, come ben si sa – è il suo contenuto in minerali.

Ma forse il basso residuo è migliore per la nostra salute? In caso contrario non ci sarebbe certo alcun bisogno di propagandare la pochezza di sali minerali, se non ammettendo di voler fare una vera e propria disinformazione alimentare.
E allora: un contenuto medio-alto di minerali fa male alla salute? Bisogna scegliere acque dal residuo più basso possibile o no?

La risposta è no. No, a meno che, ovviamente, non ci siano problemi di salute, quali ad esempio calcoli renali o ipertensione. Ma in una persona sana un’acqua “povera” non ha alcun reale vantaggio nutrizionale, anzi in alcuni casi – bambini, adolescenti,
sportivi – un sensibile (per quanto, comunque, contenuto) apporto di sali minerali è vivamente consigliato.

Diffidate dunque della pubblicità scorretta, che vuole indurre altrettanto scorretti usi alimentari. E meditate su quello che ha detto Maurizio Crozza in una delle sue recenti, geniali scenette, ipotizzando il lancio sul mercato di uno speciale “pane senza litio”.

La gente sarebbe magari portata a comprarlo, anche se non sa bene il perché: proprio perché… “non si sa mai!”