Poeta, uomo d’armi, politico, arringatore di folle… e “tombeur de femmes”. D’Annunzio fu tutto questo – e molto di più – ma tra le tante donne amate, una sola rimase sempre al suo fianco e la sua storia merita di essere ricordata

di Riccardo M. De Paoli

Nessun personaggio fu tanto protagonista della storia letteraria e politica dell’Italia tra fine Ottocento e primo Novecento, quanto Gabriele d’Annunzio, il Poeta, il Vate, il Comandante.

Fu uno dei più poliedrici autori della nostra letteratura, a contatto coi maggiori esponenti culturali dell’epoca, non solo italiani ma anche francesi: basti ricordare già soltanto che nel 1911 curò la stesura del libretto per il Martyre de Saint Sébastien, con musiche di Claude Debussy. Non fu però solo questo: fu anche uomo d’armi impegnato in azioni eroiche, politico e arringatore di folle.

Davvero un personaggio unico, che tanto fu amato quanto odiato dai contemporanei, del quale non si può sminuire o dimenticare l’influsso che ebbe sulla società e sulle scelte fauste o infauste che l’Italia fece in quegli anni lontani, e che lui seppe spesso guidare con fine intuito.

Se molto indagata è questa parte della sua vita, non possiamo trascurare la sua altrettanto famosa (e famigerata) storia sentimentale: è ancora incerto il numero di donne amate dal poeta e vi è chi ne conta anche centinaia, dalle avventure occasionali alle compagne che più tempo vissero al suo fianco.

A noi qui basta ricordare le più importanti, da Barbara Leoni ad Eleonora Duse e infine a Luisa Baccara, la quale visse al suo fianco gli ultimi anni fino alla morte. Ma non vogliamo neppure dimenticare l’altoatesina Emy Heufler, ultima infermiera del poeta, che poco dopo la morte di lui ricomparve a fianco di Joachim von Ribbentropp, ministro degli Esteri del Reich, e che con ciò alimentò voci di spionaggi e congiure ai danni di d’Annunzio, fieramente antigermanico.

Noi in questo articolo però vogliamo ricordare una donna particolare, l’unica che rimase sempre al fianco del poeta quale sua legittima consorte: la duchessina Maria Hardouin di Gallese, la Signora dei Sogni, come lui amava chiamarla (nell’immagine: Antonio de la Gandara, “Ritratto di Maria Hardouin d’Annunzio”, fine XIX secolo)

D’Annunzio la conobbe a Roma nel febbraio del 1883, invitato a frequentare il circolo letterario che allora si riuniva a palazzo Altemps su iniziativa della madre, la duchessa Natalia. Presto la diciannovenne Maria, immersa in un’atmosfera romantica e sognante, si innamorò perdutamente del giovane poeta abruzzese e cadde nel “peccato di Maggio”: incinta del primo figlio, dopo una veloce fuga d’amore a Firenze, costrinse i genitori ad acconsentire ad un veloce matrimonio riparatore, che si svolse nella cappella romana del palazzo ducale il 28 Luglio 1883. Ma quest’ultimo non riuscì certo a ricucire i rapporti con la famiglia e con tutta la nobiltà romana: lo scandalo era stato troppo grave e il duca interruppe definitivamente qualunque rapporto con la figlia e i nipoti, mentre solo più tardi la madre si riavvicinò a lei. Di nipoti infatti ne vennero altri: dopo Mario, nato nel 1884, nacquero Gabriellino (1886) ed Ugo Veniero (1887).

Per il suo Gabriele, Maria cancellò d’un tratto il bel mondo che fino ad allora l’aveva vista protagonista, e in nome della grande passione che lo legava a lui, non le sembrò un grande sacrificio: a fianco di d’Annunzio visse i primi tre anni come un lungo sogno. Ma a svegliarla da questa fiabesca atmosfera, cominciarono i debiti che ormai sommergevano la famiglia a causa delle troppe spese che Gabriele sosteneva per permettersi una vita nel lusso e nell’agiatezza. D’altronde, la rottura col padre impediva a Maria di avere i denari per mantenersi come il suo rango le avrebbe richiesto e nemmeno i timidi aiuti della madre di lei (ormai separatasi dal duca) potevano migliorare di molto la situazione.

A complicarla ancor più fu nel 1887 il nascere della passione di Gabriele per Barbara Leoni (Barbarella), così che Maria venne ormai esclusa da ogni speranza di una vita matrimoniale felice. Presto i due coniugi si separarono, senza giungere però mai ad una rottura definitiva, complice anche la presenza dei tre figli: continua e amichevole rimane sempre la corrispondenza tra il poeta e la moglie, e spesso anche affettuosa. Maria visse così tra Parigi e Roma, e dovunque era salutata come l’unica e vera madame d’Annunzio.

Dopo la fine della I Guerra Mondiale e l’Impresa di Fiume, ormai d’Annunzio era diventato un vero eroe nazionale e, con Regio Decreto del 15 marzo 1924, creato nobile con il titolo di principe di Montenevoso. Il poeta era quindi riuscito a veder riconosciuto questo suo antico desiderio e Maria Hardouin divenne così Principessa, salendo addirittura nella scala gerarchica nobiliare.

Quando il poeta acquistò e cominciò a realizzare la sua nuova residenza del Vittoriale, costante fu la presenza della moglie, che aiutò continuamente il poeta, suggerendo l’acquisto di oggetti, mobili e tappezzerie che ancor oggi ammiriamo all’interno dell’ultima dimora dannunziana. A lei fu riservata la Villa Mirabella, dove la principessa trascorse in assoluta discrezione molti periodi, intervallati dai soliti e frequenti viaggi in Francia: le occasioni di incontrare il marito non erano poi frequenti e d’altronde la principessa cercava in ogni modo di evitare ogni incontro con la pianista Luisa Baccara, ultima compagna del poeta. Maria Hardouin però non evitava le occasioni ufficiali, e in esse ci teneva a comparire al fianco del marito come l’unica legittima consorte, anche se rifuggiva da ogni coinvolgimento politico con il Fascismo.

Quando il 1 marzo 1938 d’Annunzio morì, la vedova poté finalmente essere riconosciuta come la vera Signora del Vittoriale, custode delle memorie del marito.

Gli ultimi anni però furono tristi per lei, segnati dalla perdita di molte persone amate e in particolare dei figli Gabriellino e Ugo Veniero che si spegneranno ambedue nel corso del 1945. La principessa di Montenevoso vivrà ancora diversi anni nella sua solitudine e morirà a Gardone il 18 gennaio 1954.

Questa è la storia della moglie di d’Annunzio, una figura spesso assente dalle pagine dei manuali a lui dedicate, quasi persa nell’elenco delle tante e ben più famose donne che lo amarono e che da lui furono amate. Ma Maria Hardouin di Gallese, pur nella sofferenza dei continui tradimenti del marito, sapeva sempre giustificarlo e comprenderlo: il suo amore verso di lui fu tale che accettò di vivere nell’ombra, senza mai però rinunciare ad essere considerata l’unica consorte del poeta.

Ricordava, con un triste sorriso, che i primi tre anni vissuti con lui erano stati una ricompensa pure troppo grande per lei. E anche il poeta, quando aveva bisogno di un aiuto e di un consiglio, sapeva che poteva far sempre affidamento sulla moglie: e, a suo modo, seppe amarla fino alla fine.

Queste parole, infatti, le scriveva il Poeta ancora il 24 maggio 1937, nemmeno un anno prima di morire: Maria mia, nella nostra vita, fin dal primo giorno, il Sogno ci avviluppò come le vitalbe di Gallese e i glicini de’ miei cipresseti. Respiro il Sogno. (…) Ti amo come allora, Gabriele.

Per approfondire la biografia di Maria Hardouin d’Annunzio, è molto interessante la lettura di un recente libro di Giuliana Vittoria Fantuz, Il peccato di maggio, Ianieri Edizioni, Pescara 2017 (da cui, a pag.475, è stato tratto il testo della lettera sopra citata).