Intervista alla professoressa Flaminia Martinelli riguardo la sua concezione religiosa e la relazione tra il Cristianesimo e le altre religioni

di  Federica Farzetti

Da dove deriva la sua scelta di essere atea?

In parte, da un tradizione familiare, nel senso che lo erano i miei genitori, i miei nonni e bisnonni, quindi in questo senso si cresce in un contesto che inevitabilmente ci influenza. Detto questo, c’è però una scelta personale, nel senso che i miei genitori non mi hanno mai imposto il loro modo di vedere, anzi, per una ragione puramente pratica, io sono stata mandata in una scuola cattolica, in cui ho avuto modo di avere un’educazione, una formazione di questo tipo, frequentando elementari e medie; in questo senso anche aver fatto catechismo mi ha poi fatto riflettere che quelle cose per me erano superstizioni, né più e né meno dei miti greci.

E allora, come si è rapportata con la maggior parte dei filosofi che trattano di Dio?

Generalmente, i filosofi quando trattano di Dio parlano di un Dio che è molto diverso da quello che attiene alla dimensione religiosa: il Dio di Cartesio, il Dio di Spinoza, di Giordano Bruno, di Locke è, più che altro, il garante del mondo dell’estensione, è un principio razionale che costituisce l’essenza del mondo, che costituisce anche l’insieme integrato delle leggi della natura , e infatti in genere è un Dio che non si prega, che non fa le grazie, e così via…

Lei crede che sia giusto rinnegare le nostre tradizioni religiose in rispetto di altre culture presenti nel nostro paese? Come ad esempio, il crocifisso nelle classi o l’abolizione dei canti natalizi durante le recite scolastiche?

E’ una risposta che richiede alcune differenziazioni, nel senso che io sono assolutamente contraria all’esposizione di qualunque tipo di simbolo religioso in un ambiente pubblico. La scuola pubblica è una scuola che non si riconosce in nessuna religione; l’Italia è, almeno sulla carta, uno stato laico e quindi il problema non è tanto che ci sono i ragazzi musulmani, ebrei, buddisti, ma che proprio la scuola non è uno spazio confessionale per l’appunto, ovvero dove ci si riferisca a una religione in particolare.

Devo dire che a me da anche fastidio la statua della Madonna in ospedale, o la suora che ti viene a fare il conforto quando ti è venuto a mancare qualcuno, proprio perché è un luogo dove la gente soffre, magari anche determinate consolazioni un po’ generiche e in cui uno non crede possono essere anche molto fastidiose, proprio in quei momenti di grande difficoltà.

Se parliamo invece dei canti natalizi, io posso dire che trovo che in questo specifico contesto bisognerebbe essere un pochino più morbidi, nel senso che il Natale è il Natale, ovvero celebra la nascita di Cristo. Questo è il Natale, e farne qualcosa d’altro non significa necessariamente farne qualcosa di buono. Io mi trovai abbastanza a disagio quando mia figlia faceva la scuola materna, e nella recita scolastica di Natale era stato tolto qualunque elemento che si riferiva al Natale per quello che è. Era diventato “la festa dei regali”: a quel punto significava proprio avallare un’interpretazione totalmente consumistica, che poi non è quello che le maestre volevano fare, loro volevano semplicemente non offendere nessuno. Nel non offendere nessuno, però, si possono anche snaturare tante cose.